Periodico dell'Associazione memorie & progetti

 

 
Progetto Pieve: dal sistema territoriale storico a quello attuale - di Massimo Quaini - Creuze di Pieve n. 6 Dicembre 2006 Gennaio 2007
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IL SISTEMA TERRITORIALE STORICO

Come primo contributo alla costruzione collettiva del progetto- Pieve, forniamo una rapida descrizione del sistema territoriale storico, così come venne descritto nel Dizionario topografico del Casalis (risalente alla prima metà dell’Ottocento) sotto la voce Pieve di Sori e come venne sviluppato in uno degli incontri periodici organizzati da questo giornale e dall’Associazione Memorie & Progetti:

Questo villaggio sta nella riviera ligustica di levante sul dorso meridionale di una giogaia, che è una diramazione dell’Appennino, ed avvallasi nel mare (…) da cui la disgiunge la strada reale, che sinuosamente discorre sulla base del monte su cui sorge il villaggio, e che mostra qua e là negli scoscendimenti ai quali soggiacque, la natura del suo terreno di ultima formazione e la sua progressiva e continua decomposizione. Verso levante il comune è limitato in parte dal torrente Sori, che volge a settentrione fra i rialti, gli anfratti e i pianerottoli ricchi di pasture, che offrono i monti S. Croce, Pozzuolo e Bocco.

Malgrado il linguaggio antiquato la descrizione è molto efficace. Con poche parole ci dà la posizione, la natura del suolo naturalmente franoso che dalla montagna ricca di pascoli scende (“avvallasi”) al mare. Ci dice anche come, rispetto alla precedente organizzazione del territorio e della sua circolazione, la via Aurelia (“la strada reale”), sostituendo il vecchio asse stradale di via alla Chiesa, abbia costituito il primo intervento di modernizzazione foriero di importanti effetti territoriali accentuati dalla ferrovia: il più rilevante è stato quello tagliare alla base le vecchie creuze che collegavano le frazioni con la marina, “disgiungendo” così il borgo arroccato e le sue frazioni dal mare.

L’economia di Pieve era mista e perciò basata anche sui mestieri del mare: “Gli abitanti sono in parte applicati all’agricoltura, in parte alla navigazione: alcuni hanno bastimenti propri e godono la riputazione di essere periti e valenti uomini di mare”. Fra le attività agricole la più rilevante era l’allevamento, come è dimostrato da un territorio “ferace di buoni pascoli, con cui si alimenta numeroso bestiame” e dal fatto che “si fanno due annue fiere per le contrattazioni del bovino bestiame”.

Il paesaggio creato dall’insieme di queste attività aveva già un suo forte connotato: “il territorio coltivasi in gran parte ad olivi ed a viti: offre, verso il mare, e specialmente nella frazione di Corsanego, bellissimi giardini di agrumi, tra i quali si vedono deliziose ville che manifestano l’opulenza di chi le possiede”. La popolazione era infatti costituita da “antichi e distinti casati che portano i nomi di famiglie che sono molto chiare nel Genovesato” come sono, conclude il Casalis, i Montobbi, i Migoni, i Bozzi e i Crovetto.

DAL SISTEMA TRADIZIONALE A QUELLO ATTUALE

Quello che risulta storicamente è dunque un sistema originale (nel senso che i comuni vicini avevano altre loro specificità sulle quali non è ora il caso di fermarsi) basato sulla combinazione e la gestione multipla delle risorse locali (da quelle del mare a quelle della montagna, compreso il panorama e un certo uso residenziale di qualità che non abbiamo certo inventato noi oggi). Tutte queste diverse forme di uso e gestione delle risorse locali erano tra loro in un certo equilibrio ed è questo equilibrio che ha garantito il mantenimento e la stabilità del sistema territoriale e del paesaggio. Il primo colpo assestato a questo equilibrio è stato inferto dall’Aurelia che privilegiando la direttrice orizzontale ha tagliato il sistema territoriale che si reggeva sulle direttrici verticali, separandolo in due parti che da allora hanno proceduto separatamente. Ancora oggi quello sotto l’Aurelia appare come un mondo diverso, quasi estraneo a quello arrampicato lungo la nuova direttrice verticale di via Roma che, costruita solo nel 1910 e terminata nel 1918, ha ormai preso il posto delle molteplici vecchie creuze che servivano i sette quartieri di Pieve: La Chiesa, Migone, Favale, Toggio, Montobbio, Corsanego e Pietraroggia.

Anche nel paesaggio attuale si nota questa separazione: le vestigia dell’antico paesaggio di villa, già allora ricercato, si sono mantenute insieme ai giardini di agrumi, ora in forma più discreta, ora, con i castelli neogotici, i parchi e i monumentali accessi al mare, manifestando un crescendo di opulenza e una aggressività che ha portato a spartirsi tutto il territorio disponibile, anche quello del demanio marittimo. Invece, le vestigia del vecchio paesaggio agricolo e pastorale con le vie della transumanza, le stallette e le “creste” (i muretti con le pietre messe di taglio per impedire al bestiame di invadere le proprietà agricole) sono andate in abbandono e oggi sono visibili solo per piccoli tratti e il loro senso rimane irriconoscibile ai più. Un paesaggio muto, che non suscita né attenzioni né emozioni, tranne forse in qualche escursionista amante del passato e della storia.

LA LEZIONE DELLA STORIA

Che cosa emerge da questa rapida incursione nella storia? Un primo elemento è l’esigenza di ricostituire l’unità (non l’omogeneità) del territorio. Ricucire la spaccatura fra i due mondi. Rendere più accessibile la marina all’abitante della collina e la collina all’abitante della marina. Sfuggire alla logica centrifuga e metropolitana dei collegamenti orizzontali e ridare più spazio alla logica centripeta dei collegamenti verticali,  ricostituire in forme nuove e anche come volano di un nuovo sviluppo economico l’unità di mare e montagna. Rifondare un modello di uso multiplo delle risorse ambientali, che superi la tendenza a ipervalorizzare la fascia costiera e desertificare e marginalizzare la fascia montana, quella che un tempo viveva dei rapporti con le valli poste al di là dei monti S.Croce, Pozzuolo e Bocco, sede di una “civiltà del castagno” di cui oggi gli “americani” scoprono i valori storici e culturali. Un destino che se si continua così toccherà anche ai pievesi: veder scoprire da chi non vive qui i valori più autentici del loro patrimonio territoriale.

UN PRIMO, PROVVISORIO INVENTARIO DI PROBLEMI

Che le vecchie e le nuove forme di utilizzo delle risorse ambientali non siano più fra loro in equilibrio lo dimostrano i problemi che affliggono questo territorio. Per arrivare al progetto Pieve dobbiamo farne l’inventario preciso. A cominciare da quelli in cui più si esprime la vulnerabilità del nostro sistema territoriale. Per esempio il problema che ha a che fare con la verticalità e l’assetto geomorfologico del nostro territorio. Da esso derivano tanto la bellezza del suo paesaggio, quanto alcune questioni che continuano ad affliggere i cittadini:

- la diffusa franosità del territorio (dalle grandi alle piccole frane). Questione antica, come abbiamo visto, ma che dovrebbe finalmente richiedere l’introduzione nel nostro “statuto-piano” di qualche misura di prevenzione (come esisteva nei vecchi statuti comunali) per contrastare prima degli eventi catastrofici la forza di gravità che tende ad “avvallare” in mare pezzi consistenti del nostro territorio. E’ ben noto, e ce ne accorgiamo ad ogni forte pioggia, che la prima prevenzione del dissesto idro-geologico si fa con una gestione del territorio che limiti l’impermeabilizzazione dei suoli ed eviti il diffuso abusivismo (anche quello di piccola taglia).

- la lotta contro la verticalità del territorio e la forza di gravità ha richiesto e richiede molti interventi per guadagnare e allestire nuovo spazio pianeggiante: ieri soprattutto per creare le “fasce”, ma anche per adattare la ripida falesia e il terrazzo costiero a spazio residenziale e balneare (escludendo talvolta i tradizionali usi popolari della costa), oggi per adattare la collina alle esigenze del traffico veicolare. Per cui oggi il territorio e il paesaggio di Pieve si trasformano non soltanto per la costruzione di nuovi edifici e ancor meno per la creazione di nuovi spazi di lavoro produttivo ma soprattutto in funzione delle esigenze della viabilità che ormai rifiuta il modello di uno spazio prevalentemente pedonale come quello della fitta rete delle creuze ereditate dal passato e che, se non è controllato, tende a diventare un ulteriore elemento di vulnerabilità del territorio.

- alla verticalità dobbiamo anche un altro fenomeno che spesso dimentichiamo: anche le acque e le fognature vanno al mare e questo tratto di costa, come documenta lo Studio dell’Ambito Costiero Punta Vagno-Golfo Paradiso reso pubblico dalla Provincia nel 2004, vanta un bel primato: “tutti gli scali costituiscono zone attrezzate pubbliche ove sono state convogliate le acque di scarico della fognatura comunale (collettori di Chiappa, Demola, Fontanino e Torre)”. La constatazione, che si commenta da sé, non sembra preoccupare più di tanto l’amministrazione. Come se convogliare le fogne nelle zone più o meno attrezzate per la balneazione fosse la cosa più naturale di questo mondo. A Pieve, naturalmente!

Nota. Il riferimento alla riscoperta dei valori della più povera montagna appenninica da parte degli “americani” si riferisce al libro “La civiltà del castagno. Storia, cultura e memoria del borgo di Cisiano in Val Lentro” di Tullio Pagano, di origine genovese ma professore di Letterature comparate nell’Università della Pennsylvania (Frilli Editori, 2006).   

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